Da quasi un anno si combatte la guerra tra Ucraina e Russia e più volte è stata evocata la minaccia dell’uso di armi nucleari. Si parla di terza guerra mondiale, ma questo timore esisteva già durante la Guerra Fredda. Negli anni Ottanta, tra i tanti film che affrontavano il tema, The Day After – Il giorno dopo (1983) è quello che più di tutti ha reso il pericolo nucleare realistico e sconvolgente.
La trama
Dopo una serie di tensioni e scontri armati in Europa tra Stati Uniti e Unione Sovietica, si arriva all’inevitabile: entrambe le superpotenze lanciano il proprio arsenale nucleare. I missili russi colpiscono basi americane e città degli Stati Uniti, mentre gli americani rispondono lanciando i propri ordigni contro la Russia e gli stati comunisti. Il risultato è uno sterminio su scala globale, una distruzione simile a Hiroshima ma moltiplicata per tutte le città del mondo. Il film mostra il carico di morte, devastazione, radioattività, miseria e caos che ne consegue.
La storia si concentra sugli abitanti di una cittadina del Kansas, a circa quaranta chilometri dalla capitale dello stato. Una delle scene più forti è quando un adulto urla a un bambino di non guardare l’esplosione. Il bambino si gira lo stesso e la luce accecante del fungo atomico lo rende cieco all’istante. I sopravvissuti cercano rifugio dove possono, ma la radioattività li condanna a un destino segnato: perdita dei capelli, emorragie, ustioni, tumori. Non c’è cura e chi si ammala ha solo un tempo limitato davanti a sé.
Un film che lascia il segno
Ero adolescente nell’ultimo decennio della Guerra Fredda. La tensione, la paura e l’insicurezza erano parte della nostra vita quotidiana. The Day After – Il giorno dopo trasmette perfettamente quell’angoscia. La scena che più mi ha colpito è quella in cui uno dei protagonisti torna alla sua casa distrutta e trova dei sopravvissuti che si nutrono con ciò che riescono a raccogliere. Preso dalla disperazione, urla: “Fuori da casa mia!”, ma subito dopo, di fronte all’orrore della situazione, tutti scoppiano a piangere.
A distanza di decenni, questo film resta un monito potente. Guardarlo oggi significa riflettere sulla fragilità dell’umanità e sulla necessità di non permettere che certe paure diventino realtà.